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Nuovi rapporti della TCFD: conclusioni in 10 punti sull’azzeramento delle emissioni nette per gli investitori
Con la COP26 pronta a decollare la prossima settimana, si moltiplicano le opinioni sull’allineamento alla neutralità climatica mentre i partecipanti alla conferenza cercano di posizionarsi per quindici giorni di intensi negoziati. In questo contesto di fervente attività spicca una serie di nuovi rapporti redatti dalla Taskforce for Climate-related Financial Disclosures (TCFD) che consideriamo importanti per gli investitori, soprattutto perché sostengono la necessità di adottare indicatori prospettici per contribuire a creare una mentalità orientata alla transizione.
Questo mese, lo Status report 2021 della TCFD ha messo in evidenza la velocità con cui le autorità di regolamentazione si stanno adoperando per integrare le rispettive raccomandazioni negli obblighi normativi e per fornire direttive sulle informative raccomandate. In contemporanea, il “Knowledge hub” della TCFD ha pubblicato il rapporto finale redatto dal Portfolio Alignment Team (PAT), un organo indipendente, che ha stabilito nuove best practices che potrebbero aiutare le istituzioni finanziarie ad attuare tali raccomandazioni.
Le implicazioni di questi rapporti per gli investitori sono particolarmente significative dato l’attuale slancio normativo teso a integrare il rischio climatico nelle decisioni d’investimento. In questo documento discutiamo quelli che a nostro avviso sono i 10 punti salienti per gli investitori.
L’attività normativa è vivace
La TCFD ha una storia autorevole. È stata inizialmente istituita quando i ministri finanziari del G20 chiesero al Consiglio per la stabilità finanziaria (Financial Stability Board, FSB) di creare una task force ad hoc per individuare in che modo il settore finanziario potesse tener conto del rischio climatico nei diversi comparti industriali.
Da allora, la TCFD si adopera per evidenziare tempestivamente il tipo di informazioni climatiche che le istituzioni finanziarie dovrebbero prendere in considerazione per meglio individuare il rischio finanziario. Ha inoltre messo in evidenza il grande impatto che il cambiamento climatico potrebbe avere sui ricavi, le spese, le attività e le passività, il capitale e i finanziamenti e ha sollecitato diverse istituzioni a considerare sia i numerosi rischi di transizione che il passaggio a un’economia a bassa intensità di carbonio crea per i modelli operativi, sia i rischi fisici connessi alle conseguenze ambientali del cambiamento climatico.
Ora, secondo quanto indicato nel suo Status report 2021, la TCFD gode dell’appoggio di oltre 2’600 sostenitori su scala globale che detengono complessivamente patrimoni per USD 194’000 miliardi. Tra questi figurano più di 120 autorità di regolamentazione ed enti pubblici, comprese otto giurisdizioni – tra cui l’Unione europea, il Regno Unito, la Svizzera e il Giappone – in cui sono già in vigore obblighi di comunicazione allineati alle direttive della TCFD. E si prevede che il gruppo dei sostenitori si allargherà.
Le istituzioni finanziarie sotto la lente
La versione emendata delle raccomandazioni della TCFD comprende una serie di modifiche significative e incoraggia, fra l’altro, le istituzioni finanziarie a “fornire più esplicitamente comunicazioni sull’effettivo impatto finanziario” nonché le informazioni chiave sui piani elaborati dalle organizzazioni per la fase di transizione. Raccomanda, inoltre, di fare segnalazioni più esaustive sull’esposizione alle emissioni Scope 3, in aggiunta a quelle Scope 1 e 2.1 E, per finire, esorta le banche a comunicare i dati relativi alle emissioni legate ai portafogli prestiti e alle attività finanziarie di loro pertinenza, oltre ai dati relativi all’operatività.
Tuttavia, forse la raccomandazione più importante è quella che sollecita le istituzioni finanziarie a segnalare in che misura le proprie attività siano allineate all’obiettivo di conseguire un riscaldamento globale ben al di sotto di 2°C entro il 2050. Questa nuova raccomandazione vale per le banche, le compagnie di assicurazione nonché i proprietari e i gestori di patrimoni e avrà, probabilmente, l’effetto di fornire nuove informazioni essenziali, che richiedono una valutazione prospettica, non solo sul livello delle emissioni oggi, ma sul modo in cui queste saranno gestite in futuro.
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• Scope 1: comprende tutte le emissioni sotto il controllo diretto dell’azienda, di norma generate dai suoi immobili, strutture e veicoli.
• Scope 2: le emissioni derivanti dalla generazione di elettricità, calore, vapore e refrigerazione che la società acquista da terzi.
• Scope 3: le emissioni legate alla filiera produttiva più ampia e al ciclo di vita dei prodotti o servizi forniti dall’azienda.
Gli indicatori prospettici sono fondamentali
Gli investitori avranno bisogno di nuovi indicatori che li aiutino a valutare l’allineamento dei rispettivi portafogli a un mondo che si propone di limitare il riscaldamento globale a 2°C o meno. L’analisi tradizionale fornisce solo un’istantanea delle emissioni attuali di una società o di un portafoglio. Invece, gli indicatori prospettici cercano di appurare la direzione del percorso e di valutare se le (eventuali) riduzioni di CO2 siano in linea con le tempistiche necessarie per limitare il riscaldamento globale entro i valori previsti dall’Accordo di Parigi.
Il rapporto del PAT, un’entità distinta e indipendente, fornisce indicazioni alle istituzioni finanziarie sulle prassi migliori da seguire per costruire questi indicatori. Contiene 26 considerazioni che pongono in evidenza importanti scelte metodologiche e offrono chiari suggerimenti sulle linee di azione da preferire. Molte considerazioni sono estremamente tecniche, ma mirano ad aiutare gli investitori a valutare gli approcci alternativi disponibili sul mercato e a conoscere l’opinione degli esperti sulla loro evoluzione futura.
No al “low carbon”, sì alla transizione
Un’osservazione importante che emerge da questi rapporti è che la transizione verso lo zero netto non può essere realizzata solo distogliendo capitali dai settori ad alte emissioni di carbonio. Le strategie low-carbon che dirottano capitali verso i settori che hanno un più basso livello di emissioni (ad esempio la sanità e l’istruzione) potrebbero ottenere una riduzione artificiale della propria impronta di carbonio. Si genera, quindi, semplicemente un abbattimento virtuale delle emissioni, dovuto esclusivamente alle riallocazioni di capitale, senza considerare se le emissioni delle società sottostanti – le “reali” riduzioni di CO2 di cui l’economia ha bisogno – stiano diminuendo o meno.
Secondo il rapporto del PAT: “Sono i settori con il maggior livello di emissioni ad aver bisogno di finanziamenti. Di conseguenza, una transizione regolare verso una società a emissioni nette zero dipenderà dalla quantità di capitali destinati alle attività di decarbonizzazione in questi settori”. Gli indicatori prospettici vanno in questa direzione. Valutano se un’azienda – dato il settore nel quale opera – sia un “leader del cambiamento climatico” che compie sforzi sufficienti per allinearsi al processo di transizione, o se sia un “ritardatario” che prende misure inadeguate. Pertanto, gli indicatori prospettici ci aiutano a individuare i campioni e le vittime della transizione all’interno di ciascun settore, compresi quelli che oggi sono ad alta intensità di emissioni.
Ciò contribuisce a indirizzare gli investimenti verso quelle aziende che possono contribuire efficacemente alla decarbonizzazione di settori spesso fondamentali per l’economia, quali acciaio, cemento, energia e produzione manifatturiera. Tali aziende non solo sono già pronte per la transizione, ma, passando rapidamente a modelli operativi, prodotti e servizi che emettono minori livelli di CO2, possono anche generare, strada facendo, importanti opportunità commerciali. Inoltre, l’individuazione delle aree di disallineamento può contribuire ad “agganciare” quelle aziende le cui traiettorie di decarbonizzazione sembrano arrancare.
L’aumento implicito della temperatura agli onori della ribalta
Il rapporto del PAT rileva che vi sono tre ampie categorie di strumenti prospettici. La prima e la più semplice è quella delle misurazioni binarie, ad esempio la classificazione degli investimenti a seconda che le aziende abbiano o non abbiano obiettivi dichiarati di abbattimento delle emissioni di CO2. La seconda categoria è quella dei modelli di divergenza, che valutano il divario tra la traiettoria di decarbonizzazione di un’azienda in un dato momento temporale e quella che dovrebbe seguire per assicurare l’allineamento. Infine, l’aumento implicito della temperatura (Implied Temperature Rise – ITR) traduce una valutazione di (dis)allineamento alla neutralità climatica in un indicatore che riflette le conseguenze di quel disallineamento utilizzando punteggi che indicano il livello di riscaldamento globale che si verificherebbe se l’economia nel suo complesso fosse sottoposta a un analogo livello di disequilibrio.
Il rapporto del PAT rileva che i metodi più recenti di misurazione dell’ITR sono più complessi, ma – se messi a punto correttamente – evitano molti dei disincentivi involontari che i metodi più semplici possono introdurre. Molti dei suggerimenti contenuti nel rapporto del PAT fanno specifico riferimento alla progettazione di indicatori dell’ITR e offrono una roadmap affinché questi possano essere sviluppati correttamente. Infine, il rapporto suggerisce che tali strumenti vengano utilizzati assieme ad altri obiettivi delle istituzioni finanziarie per aiutare ad allineare gli impieghi e gli investimenti all’Accordo di Parigi. Ad esempio, mediante l’utilizzo di indicatori dell’ITR un investitore può fissare esplicitamente un obiettivo cercando di ridurre, entro un dato anno, l’allineamento climatico del portafoglio portandolo da 3°C a 2°C e successivamente a 1,5°C o meno.
L’adozione generalizzata dell’ITR scuoterà i mercati
L’adozione su vasta scala di indicatori dell’ITR è una realtà in crescita, probabilmente grazie alle raccomandazioni emesse dalla TCFD e dal PAT e al sostegno di importanti operatori di mercato. A gennaio, BlackRock2 ha annunciato che pubblicherà punteggi di allineamento climatico per tutti i suoi fondi azionari e obbligazionari, dove sono disponibili dati sufficienti. Axa Investment Managers ha già pubblicato un’analisi di alcuni suoi portafogli, riscontrando che sono allineati all’obiettivo di riscaldamento di 2,7°C mentre il mercato più ampio, secondo le sue stime, è allineato su 3,2°C. Inoltre, l’utilizzo di questi indicatori è stato esplicitamente appoggiato da membri della Net Zero Asset Owner Alliance, che al momento rappresenta patrimoni in gestione per USD 9’300 miliardi.
È anche possibile che le quotazioni di molti attivi presenti sul mercato si rivalutino a mano a mano che cresce il numero degli investitori che utilizza gli indicatori dell’ITR per riesaminare le proprie allocazioni di capitale. Oggi, un’acciaieria potrebbe essere penalizzata dal mercato perché il settore emette un livello elevato di CO2. Se questa azienda intraprendesse un rapido processo di decarbonizzazione e si impegnasse a raggiungere l’obiettivo dello zero netto, gli indicatori prospettici potrebbero riconoscere il suo allineamento a un’economia di 1,5°C e segnalare la società come leader di settore, attirando investitori. Viceversa, un’azienda che oggi genera minori emissioni di CO2 potrebbe sembrare attraente. Tuttavia, se aumentasse rapidamente la sua impronta energetica e non riuscisse a espandere gli investimenti in fonti rinnovabili, il suo maggiore impatto potrebbe allinearla a un riscaldamento pari o superiore a 3°C. A mano a mano che si diffonde l’utilizzo di analisi prospettiche i mercati reagiranno di conseguenza.
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Allineamento del portafoglio: scienza e arte in evoluzione
Gli indicatori prospettici di allineamento del portafoglio sono relativamente recenti, resi possibile solo grazie ai recenti progressi della scienza climatica, all’acquisizione dei dati sulla CO2 e alla comprensione delle roadmap di decarbonizzazione. Pertanto, le opportunità di ulteriori miglioramenti e innovazioni sono considerevoli.
Lo sottolinea chiaramente lo stesso rapporto del PAT. La bozza originaria destinata alle consultazioni distingueva tra due approcci di alto livello. Il primo valuta se l’intensità delle emissioni di CO2 dell’azienda stia migliorando, in linea con i benchmark settoriali. Questo approccio è semplice, ma può portare a risultati distorti se la crescita dei volumi di un settore supera le previsioni, e potrebbe anche non riuscire a catturare gli effetti volumetrici nel caso in cui le aziende siano, ad esempio, impegnate a produrre volumi minori di beni di alta qualità e di maggior valore quali l’acciaio. Il secondo approccio valuta le emissioni assolute di un’azienda e definisce la velocità di decarbonizzazione che il settore deve rispettare. In tal modo si colgono sia gli effetti derivanti dal volume che quelli legati all’intensità. Tuttavia, questo approccio potrebbe non riuscire a premiare le aziende che hanno già decarbonizzato e può introdurre anomalie quando le imprese guadagnano o perdono quote di mercato.
Prendendo atto di questi limiti, Lombard Odier è stata pioniere nell’elaborare una nuova metodologia ibrida: l’approccio della “giusta quota di bilancio di carbonio”. Tale approccio riconosce la velocità media alla quale un dato settore si deve decarbonizzare, ma anche che una società “ritardataria” – la cui intensità di CO2 va oltre la media – avrebbe bisogno di ridurre le emissioni di carbonio a un ritmo superiore alla media per compensare il divario. Nel caso inverso, riconosce che una società “leader” sarà in grado di rispettare il proprio bilancio di carbonio con uno sforzo relativamente minore. In altri termini, prende atto dei progressi già realizzati dall’azienda.3
Questa innovazione risolve molti punti deboli rilevati nei metodi originari. Attualmente, il rapporto finale del PAT sottolinea che è possibile utilizzare questo approccio in tutti i settori, mentre gli approcci precedenti hanno un’applicabilità settoriale più limitata. Con l’affermarsi della scienza e dell’arte dell’allineamento dei portafogli, tali innovazioni si rivelano di importanza fondamentale per correggere (dis)incentivi indesiderati.
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- L’approccio basato sulla velocità di abbattimento della CO2 di un settore viene utilizzato per definire il tempo di cui ha bisogno un’azienda tipica di quel settore (con un’intensità media di carbonio) per ridurre le emissioni.
- Per applicare tale approccio a una singola società, analizziamo la portata delle sue emissioni e la sua intensità relativa di CO2 e, mettendo assieme questi due dati, valutiamo le emissioni che genererebbe una tipica azienda di quel settore che abbia le stesse dimensioni e un’intensità di carbonio media.
- Applicando a questa società di riferimento il benchmark settoriale di velocità di riduzione di CO2 possiamo calcolare la quantità totale cumulativa di emissioni che le consentirebbe di rimanere allineata a un dato obiettivo (ad esempio un aumento del riscaldamento globale di 2°C).
- Per rimanere entro i limiti di questo bilancio di carbonio, una società che ha un’intensità di CO2 superiore alla media dovrà abbattere più rapidamente le sue emissioni per evitare di sfondare il limite di bilancio. E viceversa, una società che ha un’intensità di carbonio inferiore alla media riuscirà con maggiore facilità a mantenersi al di sotto del budget.
Le “best practice” miglioreranno l’uniformità dell’ITR
Le prime rassegne degli approcci settoriali agli indicatori dell’ITR hanno rilevato che l’utilizzo di svariate metodologie può portare a punteggi finali notevolmente diversi. Di conseguenza, gli investitori che utilizzano una serie di provider, ognuno con un suo proprio approccio, potrebbero raggiungere conclusioni diverse riguardo all’allineamento di un portafoglio.
Molte di queste differenze sono spiegate dal fatto che i singoli approcci potrebbero focalizzare l’attenzione su elementi leggermente diversi. Esaminiamo le situazioni seguenti:
- una metodologia che tiene conto solo delle emissioni Scope 1 e 2 di una società raggiungerà una conclusione diversa da quella a cui sarebbe arrivata se avesse incorporato progressivamente le emissioni Scope 3 (come oggi il rapporto del PAT incoraggia a fare);
- una metodologia che guarda solo alle tendenze attuali delle emissioni di un’azienda avrà risultati diversi da una che considera gli obiettivi di decarbonizzazione di un’impresa (oggi, il PAT incoraggia a tener conto di entrambi i fattori);
- e, a livello di portafoglio, aggregare punteggi utilizzando semplici ponderazioni di portafoglio può essere meno corretto che eseguire una ponderazione in base alle proprie emissioni o aggregare le emissioni previste per ciascun investimento e i benchmark (secondo il PAT quest’ultimo approccio – adottato già da tempo da Lombard Odier – è il più solido dal punto di vista scientifico).
L’adozione di standard comuni su alcune delle questioni chiave illustrate in precedenza renderebbe questi indicatori più uniformi e comparabili. I suggerimenti del rapporto del PAT rappresentano un notevole passo avanti in questo campo e dovrebbero accelerare ulteriormente l’adozione generalizzata di questi indicatori, anche se potrebbe essere necessario modificare notevolmente alcune delle metodologie vigenti sul mercato per allinearle alle raccomandazioni del rapporto del PAT.
Le differenze permarranno, e va bene così
Anche se l’adozione di alcune delle migliori prassi illustrate dal PAT comporterà una maggiore uniformità tra questi indicatori, ciò non significa che tutti gli approcci condurranno esattamente alla medesima valutazione, né dovrebbero farlo.
Le differenze di opinione, in qualche misura, permarranno. Ad esempio, gli investitori potrebbero pensarla diversamente sulla via più probabile da percorrere per decarbonizzare l’economia: saranno i cambiamenti comportamentali a fare da traino o l’investimento nelle tecnologie? In quest’ultimo caso, la tecnologia sarà trainata dall’efficienza energetica, dalle energie rinnovabili, dalla cattura del carbonio o dall’utilizzo dell’idrogeno? Restano tuttora valide le numerose roadmap che seguono percorsi differenti e che hanno implicazioni diverse sui tempi della decarbonizzazione che i vari settori devono rispettare. Allo stesso modo, gli investitori potrebbero non essere d’accordo sul costo finale di una tecnologia quale l’idrogeno o la cattura di carbonio, che a sua volta incide sulla credibilità che i vari investitori possono attribuire alla strategia di decarbonizzazione di una data azienda.
Ciò può indurre un investitore a guardare alla traiettoria delle emissioni di un’azienda da una prospettiva diversa rispetto a un altro investitore, così come gli investitori possono valutare in modo differente la credibilità delle proiezioni finanziarie, della strategia commerciale e delle opportunità di sviluppo di un’azienda. In questo caso la risposta non è univoca: investitori diversi potrebbero scegliere di sostenere società che perseguono strategie differenti a seconda della credibilità che attribuiscono loro.
Se è vero che questi casi insorgeranno comunque, è anche vero che l’adozione delle migliori prassi raccomandate dal PAT dovrebbe attenuare le differenze. E, nella maggior parte dei casi, gli investitori dovrebbero essere d’accordo sulla posizione attribuita a una società. Ad esempio, tutti gli approcci dovrebbero essere sostanzialmente d’accordo sul disallineamento di una società che si occupa della produzione di petrolio greggio e di gas naturale e che non riesce a decarbonizzare, o sull’eccellente allineamento di una casa automobilistica che sta attuando rapidamente la transizione verso i veicoli elettrici. Là dove esistono differenze, queste dovrebbero essere individuate, spiegate, comprese dagli investitori e dibattute nel e dal mercato più ampio.
La granularità conta
Infine, il rapporto del PAT fa un’osservazione chiave: la granularità conta. Tutti gli indicatori di allineamento si basano sulla valutazione della performance di un’azienda rispetto a un dato benchmark di settore. Tuttavia, non ogni settore ha bisogno di, o può, decarbonizzare alla medesima velocità per raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi. Troppo spesso, comunque, i benchmark utilizzati sono di livello troppo alto e di natura settoriale, il che può creare problemi.
Prendiamo il caso del settore alimentare. L’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) ha stimato che l’industria alimentare rappresenta il 21-37% delle emissioni globali: è quindi un settore da monitorare. Tuttavia, le differenze tra i diversi segmenti di questo mercato sono significative. Sulle emissioni legate ai prodotti ittici pesa di più il consumo di combustibile delle flotte di pescherecci. Sulla carne bovina pesa di più la produzione di metano delle mucche e il cambiamento derivante dal diverso utilizzo del territorio. Quest’ultimo fattore è anche prevalente se consideriamo l’impronta di prodotti quali cioccolato e olio di palma. Quanto alle uova, il peso più significativo va attribuito alla lavorazione a valle e al trasporto.
Considerate le differenze tra le fonti di emissioni e gli strumenti economici disponibili per attenuarle, i benchmark settoriali di alto livello per l’industria alimentare servono a poco. Occorre, invece, adottare approcci più granulari che riconoscano le differenze significative illustrate in precedenza. Il PAT sostiene che potrebbe essere più difficile costruire benchmark più granulari che, tuttavia, andrebbero preferiti laddove cogliessero differenze significative come quelle descritte dianzi.
L’approccio di Lombard Odier distingue tra più di 150 diversi sottosettori proprio per cogliere le sfumature cui si è già accennato. I nostri benchmark per queste industrie sono costruiti su roadmap settoriali elaborate da fonti quali l’IPCC, ma tengono anche conto della nostra analisi interna riguardante gli strumenti che sono a disposizione dei vari segmenti all’interno di un settore. Ciò è di vitale importanza per ridurre anomalie indesiderate in settori quali industria, materiali e prodotti alimentari.
Con la COP26 ormai alle porte, l’urgenza della sfida che investitori e istituzioni finanziarie devono affrontare è evidente: valutare l’allineamento dei portafogli a una transizione che sta accelerando e capire quale sia il rischio finanziario che ogni eventuale disallineamento potrebbe creare.
L’importanza critica della TCFD quale ente normativo è emersa con estrema chiarezza. Grazie a un clima di crescente supporto normativo, le indicazioni fornite dalla Task Force sulle informazioni da comunicare potrebbero cambiare radicalmente il modo in cui i mercati vedono e valutano i rischi e le opportunità in materia di ambiente.
In tale contesto, è molto importante disporre di nuove raccomandazioni che sollecitino le istituzioni finanziarie a comunicare il proprio allineamento all’obiettivo di mantenere il riscaldamento globale ben al di sotto dei 2°C. Per questo, tuttavia, sono necessari nuovi approcci. Il rapporto tecnico del Portfolio Alignment Team, commissionato dalla TCFD, è un pilastro fondamentale e sosterrà l’adozione generalizzata di indicatori prospettici quali l’aumento implicito della temperatura (ITR). A mano a mano che i gestori patrimoniali e i proprietari di grandi patrimoni li adotteranno, le informazioni che essi catturano andranno a incidere sulle valutazioni e sui mercati.
Per questa ragione è ancora più impellente che gli investitori si affrettino a integrare questi indicatori nelle proprie analisi. In Lombard Odier crediamo che investire nella decarbonizzazione significhi investire nella transizione, non solo evitare il problema che emerge quando si distolgono risorse dai settori che hanno rilevanza dal punto di vista climatico.
Gli indicatori prospettici svolgeranno un ruolo chiave in questa strategia e ci aiuteranno a individuare i leader e i ritardatari dei principali settori e a seguirne l’iter verso l’obiettivo della neutralità climatica.
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