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Le strategie azionarie a gestione passiva non sono mai state così concentrate: i gestori attivi sono in grado di offrire diversificazione?
Gli indici azionari statunitensi e globali hanno raggiunto elevati livelli di concentrazione mai registrati negli ultimi 30 anni e le strategie passive continuano a registrare afflussi di capitale. Poiché i mercati azionari segnalano forti anomalie di valutazione, ci chiediamo se gli investitori focalizzati sulle strategie passive – che paradossalmente diventano sempre più concentrate – stiano perdendo opportunità interessanti offerte dalle attuali dinamiche di mercato.
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Un paradosso della diversificazione?
Quest’anno il predominio del mercato negli indici azionari è stato oggetto di accesi dibattiti. A fine ottobre, i “magnifici sette” – i titoli tecnologici statunitensi ad altissima capitalizzazione – avevano raggiunto, assieme, una capitalizzazione di mercato pari a circa il 18% dell’MSCI World e generato circa l’80% del rendimento totale del mercato azionario del mondo sviluppato. Questo fa sorgere un importante interrogativo: è possibile che il mercato azionario sia, oggi, talmente concentrato da mancare, paradossalmente, di diversificazione?
Misurare la concentrazione
Un modo utile per misurare la diversificazione di un portafoglio è calcolare il numero dei titoli che pesano maggiormente sulle performance (effective stocks o azioni effettive). Lo stesso metodo può essere applicato anche a un indice. Intuitivamente, con le circa 1’500 società che lo compongono, l’MSCI World sembrerebbe fortemente diversificato. Sfortunatamente, questo dato è fuorviante: ciò che più conta è il peso di ciascun titolo.
L’indice Herfindahl-Hirschman – la somma dei quadrati dei pesi di un portafoglio – è uno strumento semplice che permette di valutare la vera concentrazione. Invertendo questo indice, è possibile calcolare il numero delle azioni “effettive” di un portafoglio. Per illustrare questo approccio, confrontiamo tre portafogli ipotetici:
- Portafoglio A: cinque titoli, tutti equipesati
- Portafoglio B: cinque titoli, di cui uno con un peso del 90% e il resto equamente distribuito sugli altri quattro
- Portafoglio C: 10 titoli, con lo stesso approccio di ponderazione del portafoglio B
Applicando l’indice Herfindhal-Hirschman a questi portafogli teorici scopriamo che A è il più diversificato, mentre B e C hanno entrambi bassi livelli di diversificazione nonostante il numero di titoli sia diverso.
FIG 1. Concentrazioni di tre portafogli teorici utilizzando l’indice Herfindhal-Hirschman
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Portafoglio A |
Portafoglio B |
Portafoglio C |
Numero di titoli |
5 |
5 |
10 |
Approccio di ponderazione |
Tutti i titoli sono equipesati |
Peso del 90% per un titolo e il resto equamente distribuito sugli altri quattro
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Peso del 90% per un titolo e il resto equamente distribuito sugli altri quattro |
Indice Herfindhal-Hirschman
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5*(20%)^2 = 0,2 |
1*(90%)^2+4*(2,5%)^2 = 0,8125 |
1*(90%)^2+9*(1,11%)^2 = 0,8111 |
Numero di azioni“effettive” |
1/0,2 = 5
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1/0,8125 = 1,231
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1/0,8111 = 1,233
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Fonte: LOIM, dati a novembre 2023. A soli fini illustrativi.
Lo stesso approccio può essere applicato ai principali indici azionari – per Stati Uniti, Europa, Giappone e mercati sviluppati globali – al fine di calcolare i rispettivi livelli di concentrazione. Considerato che ciascun mercato è composto da un numero diverso di società, per ciascun indice abbiamo calcolato il numero di azioni chiamate “effettive”, ovvero che pesano maggiormente sulle perfomance, dividendolo per il numero totale di società che lo compongono, in modo da rendere l’analisi confrontabile nel tempo e nello spazio.
I risultati sono sorprendenti. Quelli più rilevanti sono due:
- la concentrazione del mercato azionario statunitense è al picco massimo degli ultimi 30 anni. Nell’indice MSCI USA, il numero di azioni “effettive” è circa il 10%, ovvero 60 società. Si tratta del livello più basso dal 1990 (cfr. figura 2).
- la concentrazione di titoli statunitensi ha ridotto il grado di diversificazione nell’indice azionario globale. Il maggior peso delle azioni statunitensi nell’MSCI World – passato da circa il 30% dei primi anni Novanta all’attuale 70% – ha ridotto in misura significativa la diversificazione dell’indice azionario globale data la maggiore concentrazione nel mercato USA. Oggi, su scala mondiale, le azioni che pesano sulle performance sono solo il 10%, ossia 150 società.
FIG 2. Azioni “effettive” in Stati Uniti, Europa, Giappone e indici azionari globali
Fonte: calcoli di LOIM a novembre 2023. A soli fini illustrativi.
Concentrazione di mercato: un indicatore fondamentale per valutare gli investimenti attivi rispetto a quelli passivi
Considerato questo fenomeno di concentrazione, ci si chiede se le condizioni siano particolarmente favorevoli ai gestori attivi. Negli ultimi anni, via via che aumentava la concentrazione di mercato, l’indice equipesato ha tendenzialmente sottoperformato l’omologo basato sulla capitalizzazione di mercato. Solitamente, situazioni del genere – in cui la performance di mercato si riduce sensibilmente – sono difficili per i gestori attivi.
La ricerca condotta da S&P Dow Jones Indices, focalizzata sulla performance dell’S&P 500 Equal Weight Index, indica che è vero anche il contrario. Infatti, dai risultati emerge che in media, negli ultimi vent’anni, “quanto più l’indice S&P 500 Equal Weight ha sovraperformato l’S&P 500, tanto più i fondi a gestione attiva hanno sovraperformato l’S&P 500”. Di conseguenza, ci si potrebbe aspettare che “i fondi attivi siano avvantaggiati” durante i periodi in cui gli indici equipesati sovraperformano quelli basati sulla capitalizzazione di mercato.
Oggi, potremmo aver raggiunto il punto di svolta. Quando la concentrazione raggiunge livelli estremi e si stabilizza, un indice equipesato può cominciare a sovraperformare, com’è accaduto nella prima metà degli anni Duemila (cfr. figura 3).
FIG 3. Performance relativa dell’S&P500 Equal-Weighted e dell’S&P500 Market Cap-Weighted rispetto alla percentuale di azioni “effettive”
Fonte: calcoli di LOIM a novembre 2023. A soli fini illustrativi.
Negli ultimi anni, i gestori di fondi azionari passivi hanno attirato più capitali dei gestori attivi, tendenza che è particolarmente evidente negli Stati Uniti (cfr. figura 4). Non è chiaro se questo abbia aumentato la concentrazione del mercato azionario o se sia vero il contrario. Tuttavia, il risultato principale non cambierebbe: visto che le esposizioni azionarie sono concentrate su un numero storicamente basso di azioni “effettive”, oggi una platea crescente di investitori non ha a disposizione la diversificazione che pensa di avere.
FIG 4. Attivi dei fondi azionari statunitensi: gestione attiva o passiva
Fonte: Morningstar Direct, dati a novembre 2023. A soli fini illustrativi.
L’estrema concentrazione crea opportunità
Gli investitori azionari – soprattutto quelli che seguono strategie passive – non solo dovrebbero interrogarsi sul grado di diversificazione reale delle proprie allocazioni, ma dovrebbero anche chiedersi in che misura possono approfittare di opportunità che emergono al di fuori del piccolo universo di azioni “effettive”.
Oggi, ancor più che nei primi anni Duemila, i mercati mostrano un livello estremo di dispersione delle valutazioni in tutti i settori GICS. Questa dispersione è anche riscontrabile nei vari segmenti della capitalizzazione di mercato, dove tutte le società al di sotto di 100 miliardi USD hanno quotazioni basse rispetto ai valori storici (cfr. figure 5 e 6). Quel che è certo è che i portafogli azionari che si basano su strategie passive sempre più concentrate potrebbero non cogliere le opportunità offerte da queste valutazioni estremamente anomale sia a livello di settori che di capitalizzazioni di mercato.
FIG 5. Deviazione standard mensile dei rapporti prezzo/patrimonio netto dei settori GICS (MSCI World Index), media mobile su 12 mesi
Fonte: calcoli di LOIM a novembre 2023. A soli fini illustrativi.
FIG 6. Premio/sconto storico dei rapporti prezzo/patrimonio netto per segmenti di capitalizzazione di mercato (indice MSCI World)
Fonte: calcoli di LOIM a novembre 2023. A soli fini illustrativi.
Le cose cambieranno
In genere, che tipo di situazione macroeconomica fa ridurre o addirittura invertire questa sovraperformance degli indici concentrati? La Figura 7 confronta la performance media relativa dell’S&P 500 Equal-weighted e Market-cap-weighted in quattro tipi di scenari ipotizzati per gli Stati Uniti: recessione, inflazione, rialzi imprevisti dei tassi d’interesse e crescita.1 L’analisi si basa su una serie di dati che va dal 1990 al 2020 e, di conseguenza, esclude il recente ciclo di inasprimento monetario.
FIG 7. Sovraperformance media annualizzata: S&P500 Equally weighted vs. Market cap weighted in diversi scenari macroeconomici (1990-2020)
Fonte: Bloomberg, LOIM, dati a 2023.
Questa analisi mostra che l’indice equipesato ha tendenzialmente sottoperformato in tutti i cicli di inasprimento monetario degli ultimi trent’anni e continua a farlo; tuttavia, negli stessi periodi ha prodotto una sovraperformance annualizzata del 3,5% nelle fasi di recessione e di quasi il 2% nelle fasi di crescita.
Mentre la Fed si avvia a concludere il suo ciclo di inasprimento, ci si continua a chiedere se ci sarà un soft o hard landing. A prescindere dall’eventualità che l’economia entri in recessione o subisca un leggero rallentamento seguito da una ripresa della crescita, ultimamente le prospettive per l’indice equipesato – e i gestori attivi – ci sembrano migliorate.
fonte.
1 gathering the rest of the historical dates
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